Verso il 9 dicembre: la lunga attesa di un annuncio

 

 

Mancano pochi giorni al 9 dicembre, data dell’ultimo vertice ECOFIN (il Consiglio europeo dei Ministri delle Finanze) sotto la presidenza italiana dell’UE. Se volessero rispettare l’impegno assunto pubblicamente lo scorso 6 maggio, sotto i riflettori accesi e con la campagna elettorale per le europee in pieno svolgimento, gli 11 Ministri delle Finanze di altrettanti paesi coinvolti nel negoziato sulla tassa europea sulle transazioni finanziarie (TTF), dovrebbero finalmente annunciare il raggiungimento di un accordo sull’architettura della famosa imposta sulla finanza. Una tassa che può passare alla storia come una delle più popolari di sempre, come dimostra l’enorme potenziale riconosciutole da quasi 840.000 cittadini che hanno firmato la petizione delle campagne internazionali (www.robinhoodpetition.org).


A  poche ore dalla fatidica data cosa di fatto ci aspettiamo che possa succedere il 9 dicembre a Bruxelles? Difficile sbrogliare la matassa di un negoziato che si svolge con ben poca trasparenza. Una opacità forse voluta per nascondere divergenze fra i paesi partecipanti e muri eretti da alcune delegazioni in difesa dei propri settori finanziari nazionali, una zona d’ombra in cui si muovono con grande destrezza le lobby della finanza.


Dalle poche informazioni trapelate lo stato d’arte dei lavori negoziali non è proprio incoraggiante. È evidente che le quattro economie più forti, Germania, Francia, Italia e Spagna giocano un ruolo di primo piano nella conduzione dei lavori. Assolutamente non trascurabile comunque anche il peso che collettivamente esercitano anche gli altri paesi europei, con dimensione economica minore, aderenti alla cooperazione rafforzata. Ad oggi i paesi del negoziato appaiono divisi in due schieramenti. Da una parte c’è il gruppo dei “paesi piccoli” allineati con la Germania (con l’SPD a imporre un posizionamento progressista sulla TTF al Governo Merkel-Schauble) favorevoli ad una soluzione di ampio respiro della TTF europea molto vicina all’ambizioso testo Semeta. Poche o nessuna esenzione su azioni e derivati, seppure al costo di aliquote possibilmente riviste al ribasso e misurato sostegno all’applicazione del principio di residenza e di emissione[1] come da proposta della Commissione Europea. Dall’altra parte c’è la Francia (sostenuta dalla Spagna) che ripropone il velleitario e modestissimo modello di TTF sulle sole azioni  in vigore Oltralpe dall’estate 2012. La Francia, nelle vesti del proprio Ministro delle Finanze Michel Sapin rappresenta, al momento il più grande ostacolo per un disegno audace della TTF europea. Sul fronte della tassazione delle azioni i francesi propongono di includere nella base imponibile solo le azioni emesse nella giurisdizione fiscale a 11 (principio di applicazione che non dispiace all’Italia che l’ha adottato per la propria TTF nazionale), depotenziando il principio di residenza della Commissione. Un principio, quello della residenza, che ha invece il merito di disincentivare pratiche predatorie e a brevissimo termine (dalla valenza speculativa) da parte degli operatori residenti nella tax area che verrebbe meno se si tassassero solo le transazioni in azioni individuate secondo il criterio del paese di emissione.  Ben più preoccupante la fortissima resistenza del governo francese all’inclusione degli strumenti derivati nella base imponibile della TTF continentale. Ad oggi i francesi hanno mostrato un’apertura esclusivamente sulla tassazione dei credit default swaps con un veto sulle altre classi di prodotti strutturati (come gli interest rate derivatives, la classe di derivati dal più ampio volume delle transazioni). Persino l’inclusione – che sembrerebbe del tutto naturale per evitare l’elusione della tassa sulle azioni – degli equity derivatives (intercettati, seppur in maniera debole, persino dalla TTF italiana) è, secondo i francesi, fuori di ogni discussione, con le posizioni dei leader europei, BNP Paribas e Societè Generale, in questo segmento del mercato dei derivatiminacciate e dunque da salvaguardare.  Le resistenze di un governo socialista in difesa del vantaggio competitivo del proprio settore bancario-finanziario in un comparto come quello degli strumenti derivati, usati per oltre l’80% dagli istituti di credito continentali per puro trading e non per finalità assicurative (hedging, finalità originaria dei derivati), desta, e ci concediamo un eufemismo, spiacevole stupore.


E l’Italia? Da sempre tiepido verso il dossier in esame, il nostro Ministero delle Finanze sembra voler raggiungere un compromesso che definisca un modello di imposta più ampio rispetto al modello di TTF attualmente in vigore nel Belpaese (soprattutto dopo aver ottenuto anche in Europea l’esclusione dei titoli di stato dalla base imponibile per il discutibile timore - mai del tutto argomentato tecnicamente – di ripercussioni della TTF sui tassi di interesse sul nostro debito sovrano). Desta preoccupazione che l’Italia possa essere interessata alla soluzione al ribasso dell’applicazione del solo principio di emissione per le azioni; sembra invece più solida la posizione italiana favorevole all’ampliamento della base imponibile almeno ad alcuni derivati cosa che quindi dovrebbe spingere il nostro Governo a ritenere irricevibile la proposta francese. 


E’ evidente comunque il quadro di impasse in cui versa il negoziato sulla TTF, ad oggi non superabile dalle delegazioni tecniche nazionali. Solo un intervento e una manifestazione di forte volontà politica da parte dei Capi di Stato e di Governo dei paesi della cooperazione rafforzata potrebbero sbloccare  lo stallo in questo ultimo scorcio pre-ECOFIN. Proprio per questo, lunedì 8 dicembre, alla vigilia del vertice, le Robin Hood Tax Campaigns nelle principali  capitali europee coinvolte nel negoziato, Roma, Berlino, Parigi e Madrid, ricorderanno ai propri leader gli impegni assunti e il potenziale di una misura efficace per il contrasto alla speculazione sui mercati finanziari  e dal forte potenziale fiscale con un gettito significativo (tra i 30 e i 35 miliardi di euro annui) da destinare per programmi di welfare e contrasto alla povertà in Italia, progetti di solidarietà internazionale e mitigazione degli effetti negativi dei cambiamenti climatici.


Il 9 è alle porte. Noi cittadini europei ci aspettiamo l’annuncio di un accordo ambizioso su una TTF efficace e solidale. Non accettiamo il pretesto del “dover annunciare qualcosa pur di rispettare l’impegno di maggio” per giustificare l’introduzione di una imposta che non scalfisca il trading speculativo e non sia in grado di ripristinare un autentico regime di equità fiscale, recuperando risorse da destinare al finanziamento di beni pubblici nazionali e globali da un settore sotto-tassato e salvato (senza chiedere quasi nulla in cambio e senza imporre regole e vigilanza serrate) con somme astronomiche dalle casse pubbliche, i nostri soldi.
Il 9 è alle porte. Il Governo italiano e i Governi europei devono compiere una scelta, e con questa scelta dimostreranno da che parte stanno.  


Continuate intanto anche voi a sostenere la richiesta di una TTF efficace e solidale con questa petizione urgente su Change.org indirizzata al Ministro Padoan: "Dalla parte di Robin Hood: una freccia contro la speculazione. Un futuro più giusto è nelle nostre mani. #RobinHoodTax".

 


[1]  L’aspetto cruciale della direttiva è rappresentato dai principi di applicazione dell’imposta. Una transazione è tassata se una delle parti coinvolte è rappresentata da un’istituzione finanziaria (nozione ampia definita all’Articolo 2 della direttiva) established in uno dei 11 paesi coinvolti (principio di residenza). Il concetto di establishment va al di là della residenza legale del soggetto coinvolto, ma intercetta anche i soggetti residenti fuori dalla tax area di riferimento che operano per conto o in nome di un soggetto residente nella tax area oppure soggetti residenti fuori EU-11 che abbiano ricevuto l’autorizzazione ad operare sui mercati nella tax area comune, ecc. Il principio di residenza è poi rafforzato dal principio della controparte. Secondo questo principio (dalla forte connotazione di extra-territorialità) diventa automaticamente established in uno dei 11 paesi (ed è dunque passibile di imposta) un’istituzione finanziaria fuori dalla tax area che operi come controparte in una transazione con un soggetto established nella tax area. Da ultimo (con questo preciso ordine di priorità) una transazione finanziaria fra due istituzioni finanziarie non established nell’area a 11 è ancora soggetta alla TTF (secondo il principio di emissione) se lo strumento finanziario scambiato è emesso in uno degli 11 paesi della cooperazione rafforzata. In questo caso, entrambe le istituzioni finanziarie vengono considerate established nel paese di emissione. Laddove entrambi i principi sono applicabili simultaneamente, per stabilire l’establishment di ciascuna delle parti nella transazione (indispensabile per stabilire il paese a cui la tassa debba essere versata) si ricorre prioritariamente al principio di residenza.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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