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La proposta sulla Tobin lanciata da Francia e Germania ha come atteso avuto larga eco sui giornali. Alcuni dei commenti raccolti sono veramente ridicoli. Titolare come hanno fatto alcuni che le borse ieri sono cadute per colpa di questo annuncio è fuorviante ed è veramente un pezzo di cattivo giornalismo. Il listino italiano ha guadagnato più dell’1 percento, quello di New York ha chiuso quasi in pareggio e quello di Londra ha perso lo 0.49 percento. Dove starebbero i crolli ? Forse qualcuno ha la memoria corta rispetto a quanto successo in questi mesi ? Sarebbe divertente fare uno studio rigoroso e vedere l’effetto netto di questa notizia sulla dinamica di borsa di ieri dopo aver controllato per tutte le altre notizie dello stesso giorno. E’ assai probabile che non sarebbe cambiato proprio nulla.
I commenti più intelligenti rispondono alla classica obiezione relativa al rischio di fuga di capitali. Come è possibile che ci sia questo rischio se la tassa è applicata oggi in 13 paesi tra cui Londra e Hong Kong ? Intelligenti ed appropriate le precisazioni sulle modalità di applicazione (nel bell’articolo di Maurizio Ricci su Repubblica). Basta la residenza di una delle due parti dello scambio (e uno scambio su mercati regolamentati) per poter imporre la tassa per metà su ciascuna delle due controparti. Per gli scambi sui mercati OTC si sottolinea giustamente che l’incentivo a pagare la tassa sarebbe quello di non considerare i contratti validi in tribunale.
Si cita lo spauracchio dell’episodio svedese del 1984. Chi lo spiega ai commentatori che la Svezia mise una tassa troppo alta (1 percento poi addirittura raddoppiata al 2 percento) mentre la proposta anglo-francese è per un aliquota dieci volte minore (0.1 percento) e quella della campagna internazionale addirittura dello 0.05 ?
Sarebbe bene che qualcuno si aggiornasse e che i commenti fossero meno superficiali. E se qualcuno facesse qualche riflessione più approfondita riuscirebbe a collegare le sue lamentele sul tartassare i soliti onesti con la nuova tassa sui redditi con le opportunità che esistono per spostare il prelievo in modo tale da colpire evasione e ricchezza in movimento: più che le patrimoniali sui grandi patrimoni, tasse sulle transazioni finanziarie e addirittura sulle transazioni monetarie possono raggiungere molto più facilmente quest’obiettivo. Gran parte dei commentatori concordano sul fatto che viviamo in economie nelle quali il settore finanziario è pletorico e redditi e lavoro sono tassati oltre misura. Se impareremo a tassare di più finanza e inquinamento e di meno reddito e lavoro l’economia potrà soltanto guadagnarci.
P.S.
E’ in ancora in prima sul sito Repubblica.it l’articolo scritto ieri a caldo di commento sulla proposta franco-tedesca che riporto nel blog a memoria futura
Il ritorno della Tobin tax
Una delle conclusioni principali del vertice franco-tedesco di ieri è quella della decisione dei due leader di presentare una proposta per una tassa sulle transazioni finanziarie in sede europea nel prossimo mese di Settembre. Per chi ha seguito il dibattito degli ultimi mesi la proposta non sorprende perché il parlamento europeo si è già espresso a suo favore a maggioranza (il 16 Marzo 2011) e, in sede europea, proprio Germania e Francia sono stati sino ad oggi i sostenitori più strenui della proposta.
La tassa sulle transazioni è meglio nota come Tobin tax poiché l’idea divenne popolare a seguito della proposta del noto economista James Tobin che nel 1972 propose di imporre una tassa sulle transazioni per “gettare sabbia negli ingranaggi dei traders” dei mercati internazionali dei cambi, le cui turbolenze erano poca cosa rispetto a quanto accade oggi ma iniziavano ad ogni modo a preoccupare.
Poco dopo il suo concepimento la Tobin fu seppellita dalle critiche degli stessi economisti che sostenevano che la tassa fosse troppo difficile da raccogliere e facile da eludere, generando fughe di capitali verso i paesi che non l’applicavano e impedendo di fatto l’attuazione in un’area geografica limitata che non fosse l’intera economia mondiale.
Queste classiche obiezioni sono state decisamente confutate dalla ricerca più recente, riassunta in un quaderno di ricerca dello stesso Fondo Monetario Internazionale che evidenzia come tasse Tobin (nulla di diverso dai tradizionali fissati bollati) siano di fatto in vigore in circa 13 paesi senza aver provocato nessuna fuga dei capitali. Una delle tasse sulle transazioni più elevate è in vigore proprio nella city di Londra che si finanzia con una Duty Stamp Tax dello 0.5 percento del valore di tutti i titoli acquistati sulla sua borsa. La contrarietà del Regno Unito alla proposta anglo-francese dunque non ha nulla di ideologico ma si basa sul semplice fatto che il paese non vuole perdere un privilegio di cui già gode quasi in esclusiva e rappresenta un vantaggio comparato per finanziarie le proprie attività rispetto alle altre piazze finanziarie europee.
Anche a seguito di questi risultati il consenso verso la tassa è progressivamente cresciuto anche tra gli accademici. In Italia un appello di 130 economisti ha sollecitato la sua applicazione http://www.greenreport.it/_archivio/inde…) . L’appello è poi confluito in uno di 1000 accademici a livello mondiale tra i quali fanno spicco i nomi di Stiglitz, Rodrik e Atkinson http://www.guardian.co.uk/business/2011/…) . I calcoli sul prelievo possibile dalla tassa variano oscillando dai 100 ai 400 miliardi di dollari l’anno. Una volta raccolta si pone il problema del suo utilizzo (finanziamento beni pubblici globali, Millennium Goals ?) anche se la riparazione dei guasti alle finanze pubbliche generati dalla crisi finanziaria sembra una delle destinazioni più plausibili.
Per capire perché la Tobin ha oggi consensi crescenti da parte dell’opinione pubblica, degli addetti ai lavori e delle forze politiche dobbiamo fare un piccolo sforzo per capire la storia e la genesi di questa crisi nella quale, a livello internazionale, il salvataggio di grandi intermediari finanziari dal fallimento provoca l’indebolimento dei bilanci dei governi che vengono poi successivamente attaccati dagli stessi intermediari salvati.
Per capirci è come se un benefattore facesse una gigantesca trasfusione nei confronti di un malato in fin di vita per salvarlo e questo poi, per tutta riconoscenza, si rivolgesse verso il salvatore indebolito dalla trasfusione per pugnalarlo. Lo spettacolo più triste sono i commenti di alcuni presunti “esperti” che invece di cercare di intervenire sulle cause se la prendono con il salvatore dicendo che in effetti era cagionevole ed è sua la colpa di questo improvviso peggioramento di salute. Se esistono colpe per la Grecia sicuramente non sono le eccessive spese sociali (ma i salvataggi delle banche) che hanno trasformato in un incubo il bilancio irlandese con un rapporto deficit/PIL del 30 percento (dieci volte i limiti di Maastricth) e un rapporto debito/PIL che esplode dal 29 al 120 percento in un anno.
Il merito della Tobin tax in questo contesto è quello di intervenire nella direzione giusta proponendo una restituzione di risorse dagli intermediari finanziari ai bilanci pubblici. Con l’ulteriore pregio di rallentare le operazioni ad altissima frequenza che ormai sono la gran parte di quelle che si svolgono sui mercati finanziari globali.
La proposta anglo-francese oggi ha ricevuto consensi bipartisan in Italia (Bersani dall’opposizione e Alemanno dalla maggioranza). Poco tempo fa persino il nostro governo l’aveva timidamente inserita in finanziaria con un’aliquota tre volte superiore a quella proposta dalla campagna internazionale 005 (www.zerozerocinque.it/9) attraverso la quale decine di organizzazioni della società civile si battono da tempo e lodevolmente per la sua introduzione. L’idea italiana era stata accantonata, si dice, anche a causa di una battuta di Trichet che sosteneva che gettare sabbia negli ingranaggi non risolve il problema.
Invece gettare sabbia negli ingranaggi è molte volte proprio la soluzione giusta. Un solo esempio: il mercato immobiliare negli Stati Uniti è noto per aver progressivamente abolito tutti i costi di transazione e “la sabbia negli ingranaggi” della compravendita di abitazioni (che invece esistono e sono numerosi in Italia). Questo ha trasformato gli immobili in attività speculative tanto che, alla vigilia della crisi finanziaria mondiale, il 26 percento degli acquisti di case era solo sulla carta per realizzare guadagni in conto capitale. La trasformazione delle case in titoli speculativi ha favorito la creazione di quella bolla dei prezzi degli immobili che è una delle cause scatenanti della crisi globale e ha generato successivamente un crollo dei prezzi delle abitazioni (tutt’altro che beni rifugio come da noi) da cui il mercato non si è più ripreso. Qualche volta gettare sabbia negli ingranaggi sarà rozzo ma è il metodo più efficace attraverso cui gli apprendisti stregoni che hanno creato i Frankestein della finanza di oggi possono sperare di riprendere il controllo della situazione.
E’ del tutto evidente che la Tobin non basta e che vanno attuate una serie di riforme dei mercati finanziari per evitare il rischio di nuove crisi (riduzione della dimensione o aumento del capitale di vigilanza di intermediari too big to fail, divieto di trading proprietario delle banche, standardizzazione di tutti i mercati non regolamentati, limiti massimi sulla leva degli intermediari, ecc.) accompagnate da più disciplina nei conti degli stati nazionali e da una politica fiscale a livello UE. La Tobin è però il grimaldello attraverso il quale la società civile e la politica possono riprendere il controllo della situazione e la loro sovranità sui mercati finanziari. Una sua approvazione sarà il segnale che la politica ce la può ancora fare e la speranza che sia possibile proseguire anche con le altre riforme.
L’unica speranza in questi momenti difficili è che ormai siamo tutti dallo stesso lato della barricata nel tentativo di riprendere il controllo di meccanismi impazziti (che rischiano di distruggere il sistema travolgendo tutti). Non esistono più buoni o cattivi ma solo vittime e tutti insieme dobbiamo cercare la soluzione.
Leonardo Becchetti
Ordinario di Economia Politica presso la Facoltà di Economia dell'Università di Roma Tor Vergata