L'impatto della Tassa sulle Transazioni Finanziarie

di Leonardo Becchetti
Professore Ordinario di Economia Politica presso la Facoltà di Economia dell'Università di Roma "Tor Vergata" e tra i promotori della Campagna ZeroZeroCinque


Con l’avvicinarsi dell’Unione Europea all’obiettivo di imporre una tassa sulle transazioni finanziarie in attività finanziarie tradizionali e derivati (e la decisione della Francia di procedere comunque da sola in tale direzione) stanno aumentando gli studi allarmistici sugli effetti di tale tassa sulla crescita economica e sui contribuenti. Tali studi partono da una critica alla simulazione condotta dalla stessa Unione Europea attraverso un modello di equilibrio economico generale dinamico con equazioni stocastiche che prevede una modesta riduzione di PIL dell’UE (-0,53%) a seguito dell’introduzione della tassa.


Uno di quelli più approfonditi condotto da OXERA (la rete delle Assosim europee) ritiene sottostimato l’effetto dell’introduzione dell’FTT sul PIL e quindi sovrastimato il gettito ottenibile con la tassa visto che una maggiore riduzione del PIL ridurrebbe di conseguenza il gettito.
Le differenze di scenario per OXERA sono che la FTT aumenterà di più il rendimento richiesto da investitori in azioni e titoli pubblici sul secondario, che ridurrà i rendimenti dei fondi pensione e che aumenterà significativamente il costo delle operazioni di hedging che utilizzano i derivati. OXERA contesta l’assunto della commissione sul fatto che l’high frequency trading ha impatto nullo (né positivo, né negativo) sull’attività economica reale e contesta le stime della commissione sulla quota di high frequency trading presente sui mercati (ritenuta troppo alta).
Lo studio di OXERA non tiene in conto alcune questioni importanti e a mio avviso sottostima l’impatto negativo dell’high frequency trading sulla crescita economica. Gli studi empirici sul rapporto tra finanza e crescita ci dicono che dal 1989 la relazione positiva si è interrotta (Wacthel e Rousseau) per responsabilità della liberalizzazione finanziaria e nel corso degli ultimi anni è stata messa in gioco una somma tra i 5000 e i 15000 miliardi (tra prestiti, ricapitalizzazioni, garanzie) per salvare il sistema. La responsabilità di questi costi è in parte sulle spalle di bolle speculative che si sono create proprio per la riduzione dei costi di transazione. Prima tra tutte quella sul settore immobiliare americano dove la rimozione di “lacci e lacciuoli” ha portato ad una quota rilevantissima di compravendita di case solo sulla carta contribuendo a gonfiare i prezzi e poi a far esplodere la bolla. L’esplosione della bolla ha generato quello shock non diversificabile che ha distrutto il valore dei derivati del credito costruiti per distribuire e diversificare il rischio dei mutui subprime. Ecco un caso lampante nel quale la riduzione dei costi di transazione non ha generato alcun aumento di efficienza contribuendo ad una catastrofe.

Dalle analisi econometriche del rapporto tra finanza, crescita e diffusione degli OTC sappiamo anche che nel corso degli ultimi due decenni la relazione tra finanza e crescita è diventata addirittura negativa. Se l’uso dei derivati in forma assicurativa si presume abbia effetto di stimolo agli investimenti evidentemente ci sono altre dinamiche con impatto fortemente negativo sulla crescita che l’eccessiva finanziarizzazione degli ultimi due decenni ha posto in atto.
Dallo studio sembra che l’unico utilizzo dei derivati sia quello di hedging in operazioni di investimento per copertura da rischio cambio e di tasso d’interesse. Se i derivati sono in volume 14 volte il PIL e le attività finanziarie solo 2 volte il PIL (e le transazioni sui derivati arrivano a 70 volte il PIL) è in realtà evidente che una parte importante dell’attività sui derivati non riguarda affatto l’hedging ma soltanto il tentativo di realizzare guadagni di breve comprando e rivendendo derivati “nudi”, ovvero non acquistati per coprire dal rischio un’attività sottostante che si possiede. E da questo punto di vista la tassa potrebbe proprio scoraggiare l’uso non di copertura dei derivati che si basa non su un approccio buy-and-hold ma su acquisti e vendite frequenti.
Si afferma inoltre nel rapporto che anche una Banca che non fa trading proprietario ma che usa derivati unicamente per funzione assicurativa deve continuamente comprare e vendere per aggiustare la propria posizione. Si tratta di un’affermazione non veritiera perché chi usa derivati solo per copertura compra la polizza una volta e non fa più operazioni fino alla scadenza.
Per calcolare effettivamente l’impatto della tassa bisognerebbe valutare quanto e come questo tipo di attività incida su investimenti, volatilità e crescita delle grandezze reali dell’economia. E’ molto difficile farlo e sfido chiunque a offrire previsioni attendibili. Una cosa che certamente sappiamo è che per le stesse banche ormai solo il 40 percento degli utili deriva da attività classica di intermediazione creditizia. E’ evidente che per molti intermediari finanziari tradizionali la possibilità di alti rendimenti (ad alto rischio) con l’high frequency trading abbia spiazzato l’attività tradizionale di prestito all’economia. Alzare il costo dell’high frequency trading vuol dire probabilmente ridurre questo spiazzamento e rendere relativamente più conveniente l’attività di intermediazione creditizia.
Anche il discorso sulla riduzione della performance dei fondi pensione a seguito dell’introduzione dell’FTT è del tutto arbitrario. Chi ci dice che l’high frequency trading sui derivati abbia aumentato i rendimenti dei fondi pensione ? Risulta invece che il trading estensivo degli stessi abbia aumentato significativamente il rischio della loro attività.
Una delle affermazioni più discutibili dello studio è che la tassa inciderà anche indirettamente sul costo dei prestiti delle banche alle imprese perché aumenterà il costo della raccolta per le banche (pagina 9 e 11). Penso si tratti di un’affermazione esilarante se pensiamo che la crisi scatenata da operazioni incaute su derivati da parte delle banche di tutto il mondo non si è limitata ad aumentare “leggermente” il costo dei prestiti alle imprese ma ha completamente paralizzato il sistema generando un credit crunch che soltanto l’intervento energico di governi e banche centrali sta cercando di scongiurare. Dunque, se anche prendessimo per buono l’aumento di costo dei prestiti dello 0,23 percento ipotizzato nello schema presentato a pag. 11 esso va confrontato con gli effetti di minor rischio controparte e sistemico che la riduzione dei derivati nei bilanci delle banche genererebbe sotto forma di minor rischio di nuove crisi e non con una situazione alternativa nella quale non avviene nulla.
Insomma i conti di OXERA sull’aumento di costi per banche e fondi pensione sono una conferma dell’efficacia della tassa. Se banche e fondi pensione invece di fare il loro mestiere fanno gli high frequency trader (mettendo come sappiamo a grave rischio i soldi dei loro depositanti e sottoscrittori) allora la tassa sarà molto costosa. Ma la tassa ha proprio l’obiettivo di modificare i comportamenti di questi intermediari finanziari in direzione di maggiore prudenza.
Infine se anche si desse credito alle stime fornite da OXERA resterebbe l’opzione di applicare la tassa escludendo i derivati. Esattamente come accade nel Regno Unito con la stamp duty che consente di raccogliere ogni anno tra i 4 e i 5 miliardi di euro e non ha causato alcuno sconquasso o fuga di capitali dalla city.
Dobbiamo inoltre domandarci quanto siano affidabili studi “non indipendenti”. Perché uno studio della federazione delle società di intermediazione immobiliare sul tema della tassa sulle transazioni dovrebbe essere più affidabile di lavori dell’OCSE, della Commissione Europea, del Fondo Monetario e delle Nazioni Unite ? E’ come commissionare ai tacchini un’analisi costi benefici sulle abitudini culinarie degli americani nel giorno del ringraziamento.
Commenti in direzione contraria a quelli di Oxera vengono da un articolo molto interessante di Stephany Griffith-Jones and Avinash Persaud che sottolineano che la simulazione dell’UE ignora che la crisi finanziaria ha generato un costo per l’UE pari ad una percentuale tra il 7 e il 9 percento del PIL. Se solo la tassa sulle transazioni finanziarie riducesse la probabilità di una nuova crisi del 5 percento il saldo della sua applicazione sarebbe senz’altro positivo. Inoltre il modello utilizzato dall’UE sovrastima la quota di investimenti che le imprese finanziano tramite capitale azionario e sottovaluta il livello di competizione tra glii ntermediari finanziari sovrastimando la loro capacità di trasmettere il costo della tassa agli utenti finali. Infine, ed è questo un punto molto interessante, non calcoliamo quanto in questi ultimi anni la finanza speculativa abbia sottratto intelligenze e cervelli ad un’applicazione sui problemi dell’innovazione e dell’economia reale con costi significativi per il benessere economico di tutti. Tenendo conto di tutte queste considerazioni l’impatto sul PIL della tassa dovrebbe essere positivo.
La mia conclusione è che la tassa sulle transazioni finanziarie, oltre a portare un gettito importante e consentire alla finanza di offrire un contributo ai costi della crisi eliminerebbe l’high frequency trading e sarebbe una spinta importante (aumentando il costo di tale attività) per indirizzare le banche a tornare alla loro attività tradizionale riducendo lo spiazzamento di risorse indirizzate sempre più verso le attività speculative rispetto a quelle di finanziamento dell’economia.
E’ altresì vero che per raggiungere pienamente questo risultato c’è bisogno di interventi ancora più energici (come il divieto alle banche commerciali di fare trading proprietario mettendo a rischio i soldi dei depositanti a loro insaputa con aumento di azzardo morale per via dell’impegno dello stato a tutelare i depositi la cosiddetta Volcker rule), limiti severi alla leva delle banche e il divieto di acquisto di derivati “nudi”. La FTT è un primo importante passo nella direzione giusta.

 

 

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