Sia un'Europa equa

a cura di Gabriele Bernabini e Carlo Pantaleo

Associazione Centro-Studi Nuove Generazioni

e di Gabriele Paganelli

Associazione di Comunità

 

Spesso dimentichiamo che la crisi non ha avuto origine in Europa, seppure vi si è diffusa e autoalimentata per le innovazioni finanziarie accolte. Aumenta così la diseguaglianza con crisi di liquidità e solvibilità, con crisi industriali e occupazionali, con tagli ai servizi sociali e formazione. Non basta certo l'euro per avere equità nella vita sociale. Essa si esprime invece in diversi aspetti, uno di questi, deve essere anche quello fiscale.

L'Europa ha insegnato al mondo come armonizzare sussidiarietà, sviluppo e solidarietà, come coniugare efficienza ed equità per la reciprocità, come promuovere l'unità nella diversità ritenendoli principi coessenziali e concomitanti. Il futuro dell'Europa, di ognuno di noi e del mondo intero dipende così dal concreto riconoscimento che l'uomo nella sua dignità di persona, è il soggetto del lavoro ed è il vero capitale. Invece oggi l'Europa sta “svanendo” perché non mira più a quella costruzione con l'impegno attivo dei popoli, ma diviene solo convenienza e necessità, almeno finché si riterrà utile. Regole e controlli, sia pure in maniera imperfetta, sono spesso presenti a livello nazionale e regionale; tuttavia, a livello internazionale tali regole e controlli fanno fatica a realizzarsi e a consolidarsi. La tassa sulle transazioni finanziarie né è una risposta. Ripresa dalla Commissione europea è stata presentata come proposta direttiva al Consiglio. Ispirata all'idea del Premio Nobel James Tobin che ne ha proposto l'introduzione già nel 1978, seppur con una aliquota molto bassa, serve per “gettare sabbia nell'ingranaggio” dei mercati finanziari, che hanno sviluppato una componente eccessiva di transazioni a breve-brevissimo termine, senza gran valore per l'economia e di carattere prevalentemente speculativo. Troppo spesso è rimasta solo una parola scritta poiché manca il coraggio di prendere decisioni efficaci, e così di fatto, sostenere le economie colpite dalle crisi. Tassare le transazioni finanziarie, interne e transnazionali, significa in primis più equità in un sistema che tutto tassa eccetto queste ultime, che fanno il bello e cattivo tempo dell'economia e non contribuiscono direttamente né all'economia reale, né alle casse degli Erari.

L'equità è un diritto riconosciuto ma è anche un dovere garantirla, per questo ne è urgente l'applicazione: è consolidato che si disincentiverebbe la speculazione finanziaria di breve periodo, che è la principale causa dell'instabilità dei mercati finanziari (quindi danneggia quelli reali poiché l'instabilità crea incertezza, e il sistema è finanziarizzato, cioè dipende dai flussi finanziari). Gli investimenti stabili, realizzati con poche transazioni, non ne soffrirebbero alcun disincentivo rilevante, mentre sarebbero stati penalizzati le vendite e gli acquisti ripetuti (soprattutto grazie all'uso della tecnologia) per approfittare di piccole variazioni di prezzo.

Da questa particolare imposta si ricaverebbe un gettito fiscale elevatissimo, pur applicando solo un'aliquota minima, e si contribuirebbe, come fanno tutti i lavoratori e le attività economiche, al sostegno economico dello Stato (quindi di tutti i cittadini).

Riguardo alla critica che porti via liquidità anche ai mercati è bene chiarire che l'unica che viene a mancare è quella che intossica i mercati reali, creando più danni che benefici, cioè quella speculativa di breve periodo. Dato il grande gettito poi sono sicuramente più le esternalità positive che derivano dal contributo (che avrebbero sempre dovuto versare) allo Stato, anche solo in quanto manifestazione di ricchezza, piuttosto che il minor arricchimento di chi quei soldi li muove.

Siccome però quando si tratta di flussi di denaro la lucidità decisionale si ottenebra, occorre un'azione concertata tra i paesi della zona Euro affinché si mettano immediatamente “sul piatto” le disponibilità ad introdurre la tassazione, facendosi forza, senza lasciare ogni Paese nelle retrovie in attesa che qualcuno dia “il buon esempio”. Poiché nessuno se ne fa promotore preoccupandosi dei meriti che arriveranno per averlo fatto, e non perché la Tobin Tax sia la panacea, ma perché strutturalmente giusta se vogliamo un'economia più umana e un'Europa più equa. L'Europa fornisce alle economie europee quei benefici di scala che permettono di competere apertamente e a testa alta nel mercato internazionale, sia anche questo motivo della sua modernizzazione, prima che sia troppo tardi.

 

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