Tassa sulle transazioni finanziarie: false accuse e verità
Perchè adottare una Tassa TTF fa bene all’Europa e ai mercati finanziari
di Avinash Persaud, Financial Times 29 Maggio, 2013*.
Le lobby finanziarie hanno lanciato un attacco concertato e ad ampio raggio contro il progetto di 11 Paesi europei di introdurre una Tassa sulle Transazioni Finanziarie (TTF), sostenendo che l’imposta ucciderà la crescita, rapinerà i pensionati, inasprirà la crisi europea del debito, impoverirà i piccoli imprenditori e altro ancora. Più nello specifico, i principali argomenti degli oppositori della TTF mostrano tre caratteristiche distintive. In primo luogo, sono incoerenti. Ci dicono che l’imposta sarebbe totalmente elusa in quanto non la pagherebbe nessuno. Solo che poi ci dicono che ci porterà al collasso economico e finanziario. Due prospettive che difficilmente potrebbero verificarsi insieme.
In secondo luogo, le obiezioni manifestano una mancanza di senso delle proporzioni.
Le aliquote proposte dalla Commissione Europea sono effettivamente piccole: 0.1 per cento su azioni e obbligazioni e 0.01 per cento sui derivati. L’impatto di un’imposta di tale entità
non avrebbe conseguenze più devastanti di quanto non accadrebbe se lo spread tra i prezzi di acquisto e di vendita determinati dai market maker tornasse al livello di circa un decennio fa. La TTF sarebbe peraltro solo uno dei tanti costi sostenuti dagli investitori che decidono di acquistare o vendere un titolo. Se sommiamo tutti i costi di transazione – spese di amministrazione e gestione, costi di ricerca, commissioni degli intermediari bancari e finanziari, nonché tariffe per i servizi di clearing e settlement – notiamo che i costi di transazione sostenuti dagli investitori ammontano a circa l’1 per cento delle attività annuali per gli asset liquidi e anche molto di più per gli asset illiquidi.
Se consideriamo inoltre che in media i fondi di investimento a lungo termine modificano il loro portafoglio azionario solo una volta ogni due-tre anni, ciò significa che il costo dell’imposta sulla maggior parte delle transazioni eseguite sarebbe spalmato su un arco di almeno due o più anni. Tra l’altro, questi fondi operano sui mercati primari delle offerte pubbliche iniziali e servizi di pagamento, che rimangono esclusi dall’ambito di applicazione dell’imposta. Stimo che l’TTF rappresenterà non più del 5 per cento dei costi di transazione complessivi sostenuti annualmente dagli investitori che operano sul lungo termine. Perché nessuno trova nulla da ridire sugli effetti dannosi generati dal restante 95 per cento?
Gli oppositori della TTF evidenziano infine che uno stesso titolo viene scambiato più volte da parte degli intermediari prima che ci sia un acquirente finale – ma gli operatori che acquistano azioni per conto di terzi sono anch’essi esentati dal pagamento dell’imposta.
In terzo luogo, le analogie che utilizzano gli oppositori sono del tutto fuori luogo. Per esempio, ricordano spesso la storia di come era stata elusa l’imposta che la Svezia aveva sperimentato nel 1980. Ignorano tuttavia che 40 Paesi in tutto il mondo, attualmente, raccolgono circa 38 miliardi di dollari di gettito grazie ad imposte sulle transazioni finanziarie sul modello della proposta di TTF europea-, imposte che sono difficili da eludere.
Basti pensare che nel caso specifico della stamp duty sugli strumenti azionari in vigore nel Regno Unito, il 40 per cento dei profitti deriva proprio dalle transazioni effettuate dagli operatori che hanno la residenza ma non la cittadinanza inglese. In mancanza del pagamento dell’imposta infatti non sarebbe possibile ottenere il trasferimento legale del titolo di proprietà
sulle azioni possedute. E si consideri anche il fatto che ben 7 delle 20 maggiori piazze d’affari nel mondo sono collocate in giurisdizioni che applicano imposte sulle transazioni finanziarie.
Infine c’è da dire che il settore del trading finanziario è sottotassato rispetto agli altri settori dell’economia, in larga misura perché i servizi finanziari godono di esenzione IVA. Insieme
con i profitti generati dall’intermediazione finanziaria, il vantaggio fiscale ha l’effetto perverso di incentivare le banche ad intraprendere una quantità eccessiva di transazioni finanziarie, generando così non solo costi superflui a carico di pensionati e risparmiatori, ma anche compromettendo la stabilità finanziaria.
Ciò è evidente se si osservando le attività non a supporto dell’economia reale, svolte dai trader ad alta frequenza. Questi operatori finanziari utilizzano stategie contrarian - cioé acquistano quando tutti gli altri vendono – e in questo modo forniscono liquidità, ma in momenti in cui la liquidità è già abbondante. Nelle fasi di perturbazione dei mercati, cercano al contrario di anticipare il trend (al ribasso), drenando così la liquidità, invece di immetterla, proprio quando se ne avrebbe maggiormente bisogno. Questo è il fenomeno accaduto prima
del “flash crash” del maggio 2010.
Infine, quando il sistema finanziario funziona senza problemi, pochi mostrano preoccupazione per il gigantesco numero di operazioni (per esempio in strumenti derivati) basate su esposizioni molto ridotte, se prese singolarmente. Quando però la giostra si ferma e la sfiducia nei confronti delle controparti comincia a dilagare sul mercato, è esattamente questa enorme massa di piccole esposizioni a portare le banche sull’orlo del collasso.
Insomma, questa piccola imposta, applicata su un grande volume di transazioni improduttive, sarebbe in vari modi in grado di limitare alcune di queste attività e di riportare il sistema finanziario a focalizzarsi sul suo scopo originario di finanziare in modo sicuro le attività dell’economia reale. Pertanto, chi davvero crede nella reale funzione della finanza – che è quella di finanziare le attività economiche produttive – dovrebbe appoggiare la TTF.
*Traduzione a cura di Valeria Casuddu per conto della Campagna ZeroZeroCinque.
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