La battaglia per la TTF in Italia e in Europa: a che punto siamo?

La saga TTFina continua e come qualsiasi battaglia che mina poteri forti non ha vita facile ma alterna vittorie, battute d’arresto e contrattacchi. Proviamo qui a tracciare cosa è successo in questi mesi in Italia e in Europa.

La falsa vittoria in Italia. Alla fine del 2012 lo schema della “TTF” italiana viene inserito nella legge di stabilità (ex finanziaria) per l’anno in corso. Il disegno della “TTF” nazionale proposto dall’esecutivo (ispirato al modello francese introdotto da Hollande nell’agosto 2012) subisce pochi emendamenti in Parlamento.  Al MEF il compito di rendere attuativa l’imposta. 
Più propriamente dovremmo parlare di tre diverse imposte fiscali.
• La prima si applica alla compravendita sul mercato finanziario italiano di azioni e obbligazioni emesse da società italiane quotate in borsa e con capitalizzazione superiore al mezzo miliardo di euro (le cosiddette società grandi capitalizzate o blue chips).
• La seconda si applica alla compravendita di strumenti derivati con sottostante rappresentato per oltre il 50% dalle azioni o obbligazioni delle blue chips.
• La terza colpisce il trading algoritmico ad alta frequenza. Più precisamente, se nel corso di una giornata di contrattazioni un operatore che fa uso di un algoritmo di trading modifica o cancella entro 5 secondi dall’immissione più del 60% degli ordini  giornalieri immessi, l’operatore dovrà versare una tassa dello 0.1% sull’eccedenza.  La tassa vuol così scoraggiare il fenomeno del layering che si configura come una vera e propria manipolazione del mercato con ordini di acquisto o vendita cancellati pochi secondi o frazioni di secondo prima di essere eseguiti, falsando le informazioni sulle reali intenzioni trasmesse ad altri operatori.
Il 1 marzo rappresenta una pietra miliare: entra in vigore la tassa sulle azioni e obbligazioni.  La tassa sui derivati e sulle operazioni ad altra frequenza dovrà seguire a metà luglio, ma il decreto attuativo di via XX settembre presenta dei gap normativi, inconsistenze e incongruenze che vanno rivisitate per cui si arriva al 18 settembre (data intorno alla quale si scatenano le agenzie stampa e l’eco mediatico ritorna a rimbombare) data in cui con un comunicato stampa del MEF si annuncia la rivisitazione del decreto attuativo di inizio anno e quindi le tre “TTF” nella loro stesura finale sono pronte a entrare in vigore dal 5 di ottobre.
Una vittoria? Ci piacerebbe dire: é fatta, finalmente la tanto attesa TTF nazionale vedrà la luce. Purtroppo non è affatto così e l’uso delle virgolette sull’acronimo della tassa non è stato affatto casuale.  Come più volte la nostra Campagna ha messo in evidenza, lo schema della tassa elaborata dai tecnici del MEF appare tutt’altro che solido e ambizioso.  Le debolezze sono tante. Riguardano il sovrastimato gettito che la misura potrebbe portare nelle casse pubbliche, risorse che la campagna chiede di destinare a politiche di lotta alla povertà in Italia, all’aiuto pubblico allo sviluppo e a misure di mitigazione dei cambiamenti climatici. Ma, ancor più preoccupante, la normativa nazionale non risponde alla sua funzione primaria, ovvero non rappresenta un valido strumento di contrasto alla speculazione sui mercati finanziari, di disincentivo al trading ad alta frequenza (completamente scollegato dalle dinamiche e dalle necessità dell’economia reale) e di ridimensionamento del casinò finanziario in cui la finanza internazionale si è da più di un decennio trasformata con gravi conseguenze per i nostri bilanci pubblici e familiari.


Le criticità della “TTF” all’italiana. A cosa si deve imputare questa paradossale innocuità delle tre “TTF” all’italiana nel contrasto alle dinamiche speculative?
La base imponibile è estremamente  limitata, la misura colpisce i saldi giornalieri e non il volume totale delle transazioni effettuate, le posizioni intraday sono esentate. Di fatto la “TTF” nostrana si rivela nella sua ideazione penalizzante per i cassettisti e per investitori che operano in ottica di lungo periodo! Dove sono le misure contro lo short-termismo, il dogma del profitto nell’orizzonte a breve, che la tassa ideale dovrebbe precettare? Solo una microscopica parte degli strumenti derivati è inoltre intercettata dall’imposta (circa il 2% del totale). Paradossalmente le azioni delle blue chips possono ancora essere utilizzate come sottostante di un contratto derivato senza far scattare la tassazione della transazione che lo abbia come oggetto.  Derivati sui dividendi sulle blue chips, derivati sulle commodities, sulle valute, sui CDS, ecc. sono esentati. L’elenco delle esenzioni non termina qui: fuori dalla base imponibile i titoli di stato (strumenti preferiti per attacchi speculativi contro l’Italia negli scorsi anni), esenzioni per diverse istituzioni finanziarie.  La soglia del 60% di ordini cancellati durante una giornata di trading algoritmico oltre la quale scatta la tassa sulle operazioni ad alta frequenza è troppo elevata e non rappresenta una seria minaccia al layering (altrove, come in Germania, del tutto proibito).
Di fronte a tutte queste criticità, è agghiacciante l’impermeabilità del MEF alle proposte migliorative del disegno dell’imposta. Nel corso di quest’anno il Ministero ha lanciato diverse consultazioni “pubbliche” online sulla TTF. Pubblicizzate con comunicati stampa seminascosti, aperte per pochi giorni su contenuti estremamente tecnici e con un’analisi dei contributi pervenuti a dir poco criptica e sommaria. Definirle “pubbliche” è usare più che un eufemismo. L’ultima nell’ordine di tempo è stata la consultazione aperta poco dopo Ferragosto, quando il “pubblico” si godeva le meritate e spesso brevi vacanze. Oggetto della consultazione: le modifiche al decreto ministeriale di febbraio che entreranno in vigore il 5 ottobre. Ora che il decreto modificato è stato reso pubblico, si evince come le modifiche (tassazione della nuda proprietà dei titoli, specifiche sul calcolo del valore del sottostante dei derivati, esclusione dei derivati sui dividendi, ecc.) coincidano di fatto con le proposte ministeriali già rese pubbliche dallo stesso MEF in un documento pubblicato sul sito del Dipartimento Finanze a inizio di agosto. Il contributo di ZeroZeroCinque sono finite nel dimenticatoio senza contraddittorio alcuno.
Alla luce di questa analisi è più che legittimo interrogarsi su quale senso possa mai avere una normativa con così tante lacune da cui è pressoché certo ne derivi un effetto boomerang rispetto agli obiettivi principe per cui una tassa sulle transazioni finanziarie deve essere introdotta.


Il modello di TTF europea: opportunità e contrattacchi. Eppure uno schema di tassa accurato, bilanciato, difficilmente eludibile (e apprezzato dalla campagna ZeroZeroCinque) esiste! E il MEF ne è perfettamente a conoscenza! Ci spostiamo qui in Europa e ci riferiamo alla proposta di direttiva presentata della Commissione Europea, un testo intorno al quale dalla scorsa primavera sono iniziati i negoziati per implementare una TTF sotto la procedura di cooperazione rafforzata. Sfumata l’unanimità in sede di Consiglio Europeo nel 2012 per i veti di alcuni stati membri (il Regno Unito su tutti), la TTF riguarderà 11 Paesi dell’Unione Europea tra cui l’Italia autorizzati  dallo stesso Consiglio ad introdurla.
Ma su questo negoziato europeo il nostro Ministero sta mantenendo un profilo bassissimo. L’unica perplessità palesata dal Ministro Saccomanni riguarda l’inclusione dei titoli di stato nella base imponibile cui l’Italia si oppone con vigore per paura delle ripercussioni sul debito sovrano dell’Italia. Oltre a questo: silenzio! Su un tema che oltre il 60% dei cittadini europei dichiara di considerare cruciale e una misura che l’80% degli europei approva!
I negoziati su questo fronte tra gli 11 Paesi aderenti inutile nasconderlo sono ardui e continuano a vedere l’intromissione anche dei altri Paesi Membri che non ne sono parte. In generale hanno subito un rallentamento estivo in vista delle elezioni tedesche ma sono destinati a riprendere con maggior vigore dalla fine di ottobre.
Un contrattacco sui negoziati europei è comunque improvvisamente arrivato a inizio settembre, quando gli advisor legali del Consiglio Europeo, rispondendo a una richiesta formale di uno degli Stati membri, hanno evidenziato, con un parere non vincolante, alcune perplessità legali su un solo comma della direttiva della Commissione. Il punto in questione è delicato e cruciale per le misure di elusione dell’imposta e il contrasto alla rilocazione del trading business. Riguarda il principio di residenza su cui si basa l’imponibilità della TTF europea a 11. Oggetto della contestazione legale è la possibilità prevista dalla direttiva di estendere la giurisdizione della TTF oltre lo spazio fiscale degli 11 Paesi aderenti alla cooperazione rafforzata, considerando controparti delle transazioni soggette alla TTF anche quelle istituzioni finanziarie registrate fuori dall’area TTF che entrano in una transazione con una controparte europea nell’area della TTF. Esemplificando:  una banca di Londra che acquista un titolo Fiat da una banca tedesca secondo lo schema di tassa della Commissione è considerata “established” in Germania. A questo è da aggiungersi che il principio di residenza è ulteriormente rafforzato dal principio di emissione (anche e quello di residenza è prevalente). Di conseguenza se una banca inglese vende lo stesso titolo Fiat a una banca cinese, le due istituzioni finanziarie sono considerate “established“ in Italia, paese di emissione del titolo. 
Il parere non vincolante del Council for Legal Services del Consiglio Europeo è stato immediatamente contestato dagli esperti legali della Commissione Europea. Fonti del MEF tedesco hanno fatto inoltre trapelare come la Germania (uno dei promotori di maggior traino della proposta europea) non considerino il parere come motivo di rallentamento dei negoziati. E la stampa nostrana? Titoli altisonanti sull’illegalità manifesta della TTF europea, poche, pochissime righe dedicate alle repliche e le rassicurazioni della Commissione.


Bilancio di una battaglia in corso. Dunque a che punto siamo? Uno strumento di riforma della finanza valido e ben disegnato è oggetto di un vivo negoziato europeo. In Italia (e in Francia) entra nel frattempo in vigore una tassa dal disegno debole e con molte lacune che verrebbe comunque armonizzata dalla TTF europea a 11 al momento della sua entrata in vigore su scala regionale. Da una parte la Commissione Europea, convinta sostenitrice della proposta, dall’altra un Ministero delle Finanze, TTF-scettico, permeabile alle lobby e gruppi di interesse e poco intenzionato a rendere pubblico il proprio posizionamento nel negoziato europeo e, ancor più recriminabile, poco propenso alla popolarizzazione del tema e all’apertura alle osservazioni e istanze correttive della cittadinanza organizzata.
La battaglia per il rafforzamento della modesta tassa italiana e per l’implementazione di una solida misura anti-speculazione in Europa è aperta! Una battaglia di civiltà a vantaggio dell’economia reale cui la finanza deve tornare a essere funzionale per il bene di tutti. 

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